Vincitore del 1°premio tramite il concorso ” il racconto che ti premia”di Rubyrouge.it
I
D’estate, di pomeriggio.
In un’estate accanita, soffocante.
Nudo. E sudo. Anche da nudo sudo. All’inguine le mie gambe sguisciano umide
una contro l’altra, manco fossero quelle acerbe e affusolate di una ginnasiale alle
prese con i suoi primi incontrollabili bollori e con quella cremina densa e traslucida
che le va colando con imbarazzante lentezza lungo le cosce, proprio mentre, rossa
in viso, sta magari cercando di simulare un’improbabile spigliatezza di fronte al
figaccione dell’ultimo anno, quello soprannominato “See you later…allagator!”
perchè ha fatto le medie all’American Institute e perciò se la tira con i modi yankee
ma è bono da morire e in scia a lui non si contano i tanga, le culotte e gli slip
“allagati” dagli entusiasmi non proprio virginali delle troiette più sgamate
dell’istituto. E lui adesso, col pollice nella cinta e il resto della mano a sottolineare il
pacco che gli gonfia i jeans, sta cercando di cooptare nell’occupazione del liceo
proprio lei, la “brand new fighetta” come l’ha soprannominata, che sta appunto
inaugurando la lunga serie delle sue future fregole, combattuta fra il desiderio di
sotterrarsi e quello di chiudere gli occhi, divaricare le cosce in faccia al figaccione
ed aspettare, trattenendo il respiro, cosa e come succederà.
Bè, mica male come scena, penso fra me. Ma giù nella stiva il mio cazzo, mollo di
sudore e molle di inerte abbandono, non gratifica la mia fantasia altro che con un
indolente e appena avvertibile cenno della sua proverbiale testa.
Siam messi male. E allora reagiamo: intanto una doccia, così fredda spietata da
ridurre il mio apparato riproduttivo a dimensioni da taschino; poi, a seguire,
– uno slip asciutto
– un pantalone largo di lino chiaro, bello arioso e fresco
– una t-shirt bianca
e si va fuori, a cercare un po’ d’ombra e qualche refolo che non sia elettrico e
ronzante. Mi porto pure qualcosa da leggere, non si sa mai.
Quattro passi tranquilli seguendo i muri dei palazzi più generosi di sporgenze,
tettoie e balconi e delle loro ombre, ed eccolo qua: un piccolo giardino comunale
deserto, un grande albero fronzuto e sotto il suo largo ombrello di foglie un paio di
panchine ai due lati del vialetto. Apposto.
Sì però dovrebbe essere proibito lavorare sopra i 25° di temperatura, porco cane! Se
appena appena fai un lavoro fatto di uffici, contatti, colloqui e responsabilità varie, puoi
mica andare in giro in mutande e maglietta a tetta libera…. Intanto ci vuole una gonna,
magari leggera ma che non sia troppo corta e nemmeno troppo svolazzante a scanso
smutandata iconica sulle grate di aerazione del metrò. Sopra la gonna ci possono
anche stare un top o una canottierina freschi (meglio se con giacchetta), ma comunque
castigati che basta un capezzolo un attimo più esibizionista per diventare come ridere
una puttana dei viali. Che poi potrebbe anche essere una faccenda interessante, ma col
mio lavoro creerebbe non pochi conflitti e impicci. Adesso però prima di arrivare
dall’avvocato bisogna che io dia un’occhiata alle carte se no poi non so cosa rispondere
a eventuali domande e faccio la figura della giuliva che l’hanno assunta perchè tutti i
lunedì mattina nello sgabuzzino gliela la dà a mo’ di ricostituente al capo che torna
distrutto dal weekend in famiglia: insomma il classico fisso (posto) in cambio della
fessa…Vecchia storia, ma a me non mi ci pigliano.
Vediamo, mi ricordavo che da queste parti c’era un giardinetto ombroso e c’era
pure da sedersi… eccolo lì, perfetto!.
Ah, però c’è uno. Sarà mica un maniaco, eh… che qui non vedo nessun altro in
giro… Boh, è un anziano, niente di particolare direi, sembra tranquillo e legge o
rilegge un libro che sembra un po’ consunto. Ecco mi ha visto. Cazzo che sguardo
che mi ha tirato. Ha gli occhi chiari, e li tiene leggermente socchiusi, in pratica una
lama orizzontale di luce verde che ha scannerizzato rapidamente me e tutto il
circondario e poi si è riabbassata. Che roba. Mi siederò sulla panchina di fronte ma
sarà meglio stare in campana…
Cazzocheculounafiga! (World Record di turpiloquio! 3 porcate in 1 sola parola,
magico…). E da dove è uscita ‘sta manza? Fra i 30 e i 40, direi. Gambe non del
tutto visibili ma anche così da sballo, di quelle da fare a gara ad arrampicarcisi,
che chi arriva primo su in cima, la Cuccagna l’è sua… ah, ecco, anche delle tette si
vede poco ma direi che ce n’è il giusto, senza strafare, questa non è mica una
buzzicona gonfiabile, questa è proprio figa inside, di quelle che lo sono già di
nascita e di sangue. Meglio magari non fermarsi troppo a fissarla, però direi che è
pure vestita bene, cioè non vistosa ma stoffe di qualità, taglio accurato,
accostamenti giusti. Elegantissima anche quella grande borsa di pelle, di certo
sarà griffata e avrà dentro dei documenti, lei dev’essere una donna in carriera.
Però lo sguardo, porca troia, che sguardo. È quello che fa tutto. Diretto, deciso,
senza soggezione. Ti entra dagli occhi ma poi ti esplora tutto l’interno, capace che
da dentro ti misura anche quanto è lunga la tua fava. E cosa non dev’essere
farsela misurare da una così…mmmmh! questa se appena appena è porca quanto
è figa, è un pezzo unico da collezione, un esemplare in estinzione, uno strike alla
soglia dell’impossibile…
Vabbè, mo’ mi metto a leggere il libro, ma la tengo d’occhio… E mi sa che anche il
Mister, giù nelle mutande… io lo conosco a quello: sarà lì che fa finta di dormire,
ma non si sta perdendo un solo fotogramma di quello che succede. Del resto è la
sua mission…
Uffa che scomoda questa panchina, e quanto sono ingombranti ‘sti protocolli, sono
dei lenzuoli, non riesco a trovare una posizione decente… E quello là davanti che
cazzo fa, mi guarda le gambe ogni volta che cambio posizione? Mi è sembrato che
alzasse lo sguardo ogni volta che mi muovevo. Vabbè, dài, chissenefrega, ci
manca solo che mi venga la paturnia del maniaco….
Eddài, àprile ‘ste cosce, e fammi vedere…. di più, dippiù!…che aspetti!? Ecco lo
sapevo, adesso al piano di sotto s’è svegliato anche sua maestà il regio uccello del
paradiso; solo che stava a riposo a testa in giù e ora non trova spazio per
gonfiarsi, è tutto ripiegato su sè stesso e compresso dallo slip, mi sta facendo
quasi male. Per fortuna ho i pantaloni larghi, forse posso intervenire da dentro,
usando la tasca a mo’ di guanto, e sperando che da fuori non si capisca… hop!
Perfetto, liberato l’anaconda, ora può allungarsi quanto vuole verso i lati dello slip.
Speriamo piuttosto che la tipa non mi abbia visto, adesso controllo… oh cazzo mi
stava guardando, invece!
Ma che fa questo lurido, mi guarda le gambe e poi si tocca pure l’America? L’ho
visto, eh…Ma allora è maniaco vero… mi verrebbe quasi voglia di sfidarlo, aprire
le gambe e veder… Stoop! Ahò bella, ma che cazzo stai dicendo? Ma se fosse
davvero una bestia ti sembra un’idea geniale andarla a sfruculiare? Qui non c’è
nessuno che può venirti in aiuto e il tipo sarà anche anziano ma non è un
mingherlino, del male farebbe in tempo a fartene, anche se tu hai fatto i tuoi bravi
corsi di autodifesa e bla bla e bla bla…
Sì, ok, hai ragione, ma guarda che non voglio provocarlo più di tanto, è solo
per…Árimo, fermi tutti, c’è il mio telefono che squilla, dove l’ho cacciato? Qui non
c’è, sarà nella borsa, figuriamoci col casino che c’è lì dentro…
Mmmm, attenzione… non trova il telefono che continua a squillare, vediamo che
succede. Ora lo cerca nella borsa… ecco, bene, così le tocca ruotare il busto…
chinarsi…e disunire le gambe!… vai così!… sìiii!… madò che gnocca ragazzi,
guarda che cosce tornite, belle abbronzate uniformi, che voglia di tuffarmici in
mezzo azzannando a destra e a manca… dai, àprile ancora un pochino, hai fatto
30, fai 31, no?… apri ancora, ti prego, apri… così, così! … Ecco! La vedo! O mio
capitano, terra! Terra! Figa! Figaaa! … Ma sì, vabbè lo so, da qui si vede giusto un
triangolino nero, sa il cazzo se è pelo o pizzo, o pelo dietro al pizzo… però anche il
sunnominato cazzo mi pare che se ne freghi se è o non è… lui è lì che tira, bello
teso…. Però vediamo se si può capire qualcosa di più… miii, altro che capire, non
me n’ero accorto ma la tipa intanto ha trovato il telefono e si è rialzata, e io ero
ancora lì imbambolato a scrutare… via, via! distogliersi!… però mi sa che stavolta
mi ha sgamato in pieno… Vabbè, meglio che torno al mio libro. Eh, seee, il mio
libro… ciaone! Son lì che fisso le righe nere delle parole stampate seguire la
curvatura delle pagine convergendo sull’attaccatura centrale, e quello che ci vedo
è la fessura verticale di una figa, della sua figa! e una manciata di peli neri, lucidi,
quasi da ragazzina, pettinati di default dalla natura a convergere verso il centro e
ad incrociarsi per formare un ciuffetto delizioso e maledettamente invitante…
Aaagh! Ragazzi, non ci sto più con la testa, sul serio, qui finisce che le salto
addosso…
“Sì grazie, avvocato, allora facciamo come dice Lei che è meglio, poi ci
riaggiorniamo fra qualche giorno… sì certo, buona giornata…
gentilissimo…anche a Lei!…”
Uffa, tutto ‘sto viavai per niente, a saperlo restavo a casa a sgrillettarmi con
maggior profitto le pudenda. E questo maiale qui davanti che continua a lurkarmi la
figa, si vede benissimo, dài! Adesso gliela do io la provocazione…
No, no, che cosa fai, fermati! Non avevamo appena finito di dire che non è
prudente? Ed è pure inutile, cosa ci guadagni?…
Ci guadagno che mi faccio sbollire la rabbia…
Cacciandoti in un guaio ancora più grosso?….
Ahò, vocetta della coscienza dei miei cojoni, ma cosa vuoi che mi faccia quello, ma
non lo vedi?…
Ah, vedere lo vedo, ma mica solo lui. Di un po’, non è che invece ti sta intrigando
l’occasione che hai intravisto di andare a sfruculiare più a fondo quei tuoi istinti
primordiali, pure un po’ belluini, da cui ti senti spesso attraversata? Quel desiderio
di appendere nell’armadio per qualche ora la grande gnocca che indubbiamente
sei stata capace di diventare e al posto suo lasciar sgambare, libera e sola, la
femmina animale che ti porti dentro da sempre? E che per prima cosa andrebbe
subito ad annusare lo sperma dei maschi del branco per scegliere fra loro i più
capaci di muoverle il sangue, di attirarla nella morsa dei loro muscoli e poi
trascinarla in una monta dura e selvaggia. Non è questo che cerchi?…
Ma piantala, dài! Non sono eccitata, te l’ho detto, sono solo incazzata. E ho
bisogno di sfogarmi….
Davvero? E come mai allora, mentre ti parlavo, l’odorosa fregna che stringi fra le
gambe ha rapidamente preso l’aspetto di un prato del mattino luccicante di rugiada
ed ora le sue grandi tenere labbra non riescono ad arginarne il traboccamento?
Chissà, magari è perchè sono labbra prive del nerbo e della mobilità di quelle altre
lassù. Con le quali infatti, adesso che mi ci fai pensare, giurerei di averti visto più
volte eseguire alcuni numeri di agilità e destrezza che i maschietti di turno
trovavano… com’è che dicevano? ah, sì: spettacolari… Ahahahahah!…
Ma la smetti di percularmi, vocetta? Sai che c’è? Mi hai rotto il cazzo, adesso ci
penso io…
Ò, ò, ò! Ma che fa quella adesso? Mi guarda fisso e apre le gambe… poi le
richiude… e adesso le riapre di nuovo, ogni volta sempre un po’ di più! Lo fa
apposta, bastarda…. Cazzochefigacazzocheporca (new record, eh, 4 in 1)…
Puttana miseria, adesso però nelle mutande ho un ariete che prende a testate le
pareti dello stallo per uscire, avrei bisogno di toccarmi per calmarlo almeno un
poco…. Che roba! che roba! Ma guardala, come si sguaia e come mi guarda, non
mi molla un attimo….
T’ho preso all’amo, eh, vecchio maiale schifoso? Ti vedo che il tuo sguardo
continua a salire e scendere fra miei occhi e la mia figa. E che lo scanner verde del
tuo sguardo ora ha acquistato il lampo azzurroverde del rame incandescente. Figa
ragazzi, la sento quasi fisicamente la sua lama scorrere via sul mio corpo,
accecarmi gli occhi, poi bruciarmi le labbra, poi attraversare la gola e scendere
sulla curva dei seni, con i capezzoli che mi si rattrappiscono irrigiditi quando la
sentono avvicinarsi, si piegano al suo passaggio per rimbalzare dritti subito dopo;
e già lo sguardo strisciante scivola caldissimo sul mio ventre e lo sento
raggiungere il pube per ancorarsi con invadente ingordigia sul vertice della mia
vagina ad incendiarmi il clitoride. Cazzo aveva ragione, quella stronzetta petulante
della mia coscienza ci aveva come al solito visto giusto: mi sto eccitando a mille,
non so dire cosa potrebbe accadere ma qualsiasi cosa sia non me la posso, non
me la voglio perdere. Solo che questa attesa mi sta mettendo in tensione tutto il
corpo, dal formicolio nell’attaccatura dei capelli all’inturgidimento quasi dolorante
dei capezzoli, dalla stretta dell’ano e delle natiche alle contrazioni disordinate della
figa in continuo fibrillo, dall’ipersalivazione che continua a raccogliersi sotto la mia
lingua alle microscariche elettriche che sento pizzicarmi la punta delle dita di mani
e piedi.
Inutile negare. E ancor più inutile resistere.
Cazzo fa adesso la porcona? No, non ci credo, si è fermata con le cosce
completamente aperte, cazzo gliele leccherei e smanaccerei a morire… ora ha
messo una mano sul ginocchio…. inizia un lento massaggio circolare… oh figa,
ora sta risalendo lungo la coscia, questa vuol farmi esplodere il cazzo… è arrivata
in fondo… e continua a guardarmi fisso… ora lo fa, lo fa, lo so che lo fa… eccola lì,
lo sapevo, la mano che si infila sotto il pizzo, l’impronta delle dita laterali che da
sotto tendono il tessuto e quella del dito medio che sparisce affondando di sotto, in
quella fessura che a una porca così starà come minimo schiumando di voglia.
Sì ma io così non posso più resistere, eh. E basta nascondersi, con lo sguardo
anch’io fisso nel suo, porto una mano sulla patta dei calzoni e inizio a massaggiare
con forza tutto quello che mi capita sotto le dita.
Ma… a questo punto improvvisamente lei si ferma, e io con lei, preso alla
sprovvista. Sulle sue labbra appare l’ombra di un indecifrabile sorriso, potrebbe
tranquillamente essere il suggello di una complicità così come la soddisfazione di
un puntiglio soddisfatto. La vedo radunare con calma le sue cose, rassettarsi,
alzarsi e dirigersi verso di me, accennando a stendere la mano destra nella mia
direzione. Cosa vorrebbe fare, aiutare un anziano ad alzarsi? Presentarsi? In ogni
caso io la prevengo: per quanto lei possa devastarmi di desiderio, io non ho la
minima intenzione di cedere la mia quota di controllo sulla situazione. Ignoro la sua
mano e avvicinandomi porto invece la mia destra intorno alla sua gola. Lei si
blocca allarmata e si irrigidisce sensibilmente, ma è solo per qualche istante,
probabilmente sente subito che nella mia presa non c’è aggressione nè cattura, al
momento c’è solo studio, indagine, forse anche la familiarità di un gesto abituale.
Del resto le mie mani non sono particolarmente grandi, e nemmeno somigliano a
certe altre che paiono scolpite in un ciocco di legno duro e incernierate in pochi
movimenti quotidiani sempre uguali. Al contrario la mano che lei sente è molto
articolata, abituata a calibrare le posizioni e a dosare le pressioni, e ora è asciutta
e calda nell’avvolgere la sua gola, quasi rassicurante. Il suo collo di contro è
fantastico al tatto, liscio, morbido, sarebbe da baciare, carezzare, leccare e
delicatamente succhiare lungo un sentiero invisibile che immagino di tracciare
dallo sterno fino ai lobi delle orecchie, guidato dal ritmo di certi suoi piccoli e
seducenti gemiti e poi ancora, dietro il padiglione auricolare, per andare infine a
morire sulla nuca e sulla piccola scossa di un suo brivido. Wow! Non ultimo, sotto
le mie dita sento anche distintamente le pulsazioni del suo battito cardiaco, ora
lievemente accelerato. E a ben pensarci quella è la vita, cazzo, è la sua vita che
sta scorrendo nel palmo della mia mano. Roba da non riuscire a staccarsene più…
Oh, sembra incredibile, ma fin qui non ci siamo ancora rivolti nemmeno una parola.
Senza allontanarmi da lei, è ora che lo faccia io.
“Non mi tornano i conti, sai? Non ci si può sbagliare, sei una grandissima
figa e anche una grandissima porca. Fin qui è sicuro, semmai non so quale
delle due di più. Da un lato però sei un po’ troppo fine, troppo curata ed
elegante per essere una del mestiere. Mentre dall’altro lato io non sono certo
uno di quei bellimbusti che tu potresti desiderare per una notte e facilmente
avere, solo schioccando le dita. La faccenda non mi torna, capisci? Allora
dimmelo tu cos’è: vuoi dei soldi? o è solo la curiosità di farti chiavare da un
vecchio porco da giardinetto pubblico? O forse (e per un breve ma
inequivocabile attimo incremento la stretta sulla sua gola per poi tornare subito allo
stato precedente), forse volevi soltanto prendermi per il culo?”
Lei non ha esitazioni.
“Niente di tutto ciò. Là dove voglio arrivare io è molto buio. E anche
discretamente pericoloso. Ma standone fuori è quasi impossibile distinguere
cosa ci sia. Ed è proprio per questo che sono decisa ad andarci, non
conosco pericolo maggiore del non voler sapere. Questo è tutto quello che
riesco a spiegarti, se sei in grado di fartelo bastare.”
Minchia. Non ha fatto una piega e mi ha pure servito di barba e capelli. Ok, 15 pari,
batto io.
“Va bene. Ma a una condizione…”
‘Azzo se è tosto questo… Potrei mettermi a gridare, fare un po’ di scena, chiamare
la Polizia e come minimo fargli passare un brutto quarto d’ora. Senza contare che
quello che gli sto offrendo, per inciso a gratis, lui se lo sogna, all’età che ha, di
poterlo ottenere altrove se non, molto annacquato e mal recitato, da qualche
svogliata passeggiatrice ormai sformata. E lui in questa situazione cosa fa? Lui
“detta delle condizioni”! Incredibile… vabbè, sentiamo…
“Niente trucco, niente profumi, niente deodoranti, nemmeno il dentifricio.
Niente di tutto quello che le donne comunemente, ma anche molti uomini,
usano per cercare di nascondere, coprire, sostituire, pur trattandosi di
nient’altro che della loro natura.
Se, come spero, capiterà che tu passi la tua lingua su di me, voglio che sulla
mia pelle rimanga la tua saliva, non un banale “sbiancante a protezione
completa”…
Se, come spero, riuscirò ad infilare nella tua bocca la mia lingua per
annodarla alla tua, voglio poterne succhiare il sapore unico e irripetibile che
hai, non quello di una stupida mentina.
Se, come pure spero, con questo caldo e questa voglia, tu suderai dalla
fronte, dalle ascelle, sotto i seni, nelll’inguine, lungo la schiena e nel solco
delle tue natiche, voglio che siano le mie labbra a raccoglierlo e ad
asciugarti, non un antitraspirante stick o spray.
Ε se e quando, come più di tutto vorrei, ti sentirò prima guaire, e grufolare, e
poi gridare, e bramire a tutta la foresta la fregola selvaggia che ti attraversa,
voglio poter annusare e imparare a memoria l’odore della tua figa bagnata,
non quello di qualche costosissimo unguento detergente. E se infine sarò
anche così fortunato da aver parte nel raggiungimento di un tuo orgasmo,
voglio spremerne il succo con le mie dita, direttamente da quella tua oscura
fregna alla mia bocca.
Te la voglio dire tutta: non so quale meraviglioso pasticcio io abbiα
combinato nella vita (di certo involontariamente) perchè il destino mi abbia
voluto premiare facendomi incontrare una donna come te, ma adesso che ci
sei non vorrei mai, per essermi accontentato di scopare la donna in carriera
che mostri al mondo, pur se strafiga, perdere l’occasione di andare invece a
penetrare la natura più selvaggia che io abbia mai incontrato, quella belva da
monta che ho visto lampeggiare nei tuoi sguardi e nelle tue movenze. Quello
che io voglio a questo punto è arrivare a chiavare la tua anima, sentire il mio
cazzo che la raggiunge e i miei coglioni che le vengono dentro e addosso
tutto il loro sperma; e poi godermi lo spettacolo inimitabile della tua più
totale nudità di anima e corpo che luccica di sudore e di sborra… e vederti
rauca e ansante ma splendente regina, che te ne vai spalmando lentamente
ogni parte del corpo…
Apperò. Se questo è un maniaco, temo di dover ammettere che sono più simile a
lui che alla gente “normale”. Speriamo di non farci del male a vicenda, ma mi sa
che incontrarlo può rivelarsi più una fortuna che un incidente.
Credo che si meriti pure un sorriso e una carezza, non deve riceverne spesso,
nella “normalità”… Vieni, vecchio lurido porco, fatti avvicinare e assaggia anche tu
un po’ di dolcezza, tranqui che non ti verrà il diabete…
“Ok, niente cosmetici. Contento?”
Ecco fatto… com’è? mica male, no?
“E ora andiamo, ho casa non lontano da qui.”
Camminiamo zitti, come se volessimo risparmiare per dopo ogni briciola di
energia. Poi, davanti al suo portone, prima di infilare la chiave nella toppa, è lei a
rompere di nuovo il silenzio.
“Cercherò di mostrarti gli splendori più osceni che riuscirò a trovare dentro
di me. So che farai lo stesso e immagino che questo ci piacerà non poco ma
anche ci segnerà. In ogni caso tutto quello che succederà qui dentro inizierà
e finirà dietro questa porta. Qua fuori ne resteranno soltanto i ricordi e i
vissuti. Siamo intesi?”
“Naturalmente”.
II
Dentro, la casa è elegante e sobria come lei, tendente al minimalista ma senza
mancare di nulla. Noto un grande e comodo divano e una discreta libreria che pare
abbastanza vissuta, non la solita parata di autori “cult” nemmeno sfogliati. Lei mi
accompagna al divano, poi mi appoggia una mano sul petto e un ginocchio sotto i
coglioni. Sosta un attimo in quella posizione muovendo appena il ginocchio, il mio
cazzo è in erezione da ancora prima di entrare in casa e forse la vogliosa vuole
saggiarne la consistenza alla radice; che così facendo non può che irrigidirsi
ulteriormente. E allora con una delicata spinta della mano e del ginocchio mi fa
capitolare sul divano.
“Dammi dieci minuti, mi riporto allo stato primitivo che hai chiesto e sono da
te. In cucina nel frigo ci dev’essere qualcosa di fresco da bere, se hai sete.”
La squadro a mia volta, partendo dall’arruffato caschetto dei capelli, rivisitazione
moderna dei disegni di Crepax, soffermandomi doverosamente sulla invogliante
vallata che scende fra le sue anche ben proporzionate e che le pieghe dei suoi
pochi abiti disvelano ad ogni movimento, per arrivare fino ai piedi già privi delle
scarpe, scalzate via all’ingresso da quella rapidità danzante che solo le donne
hanno quando vogliono spogliarsi velocemente,.
“Grazie, ma oggi ho in programma di stapparne una di quelle buone e di
scolarmela fino all’ultima goccia…” rispondo con aperta allusione e
massaggiandomi palesemente i coglioni con la mano che tengo in tasca mentre
guardo la sua figura girarsi e sparire in direzione del bagno.
Nell’attesa mi alzo e vado a curiosare nella libreria. Come mi aspettavo c’è un po’
di tutto, narrativa, qualche saggio, un paio di codici legali, raccolte di riviste di
moda. In uno scaffale a parte, letteratura erotica e in mezzo a quella, non
casualmente, un bel libro fotografico di Konrad Lorenz e della sua vita in mezzo
agli animali e al loro ambiente. Hai capito la porcella? Non mi ero sbagliato sulla
sua anima…
Torno a sedere sul divano e di lì a poco lei riappare togliendomi il fiato, è di una
bellezza ferina e indescrivibile. Ha i capelli ancora umidi e ancora più scarruffati di
prima, indossa soltanto una camicia bianca leggerissima, abbottonata davanti e
qua e là ricamata che le arriva appena all’inguine lasciando scoperte due gambe
da urlo, con un ondeggiare della carne e dei muscoli mentre cammina che davvero
ricorda quello agile e potente dei grandi predatori. Subito sotto alla camicia spunta
la sua figa nuda, appena ricoperta da un ciuffetto di peli non molto diverso da
quello che mi ero immaginato sulle panchine e certo non meno invitante. Mentre in
contrasto col candore della stoffa ricamata, sotto traspaiono due capezzoli scuri
dalle larghe areole, esattamente in punta a due seni sodi e di perfetta misura per le
mie mani luridamente impazienti di profanarle. Ma più di tutto a mandarmi ai matti
e a sbucciare indietro con forza tutta la pelle del cazzo, scoprendo completamente
la cappella e mettendo a dura prova la tenuta del suo filetto, è il viso di lei. Ora che
ha tolto quel velo sapiente di make up che lo addolciva ed educava, lo sguardo e
tutta l’espressione del volto hanno preso una fierezza animale e una
determinazione erotica che non avevo mai visto prima d’ora su un volto di donna.
E trovarmi oggetto di una tale bramosia non può che farmi saltare il cervello,
riconduce anche me a tutti gli istinti più primordiali e alla loro terribile bellezza.
Desidero questa femmina con una intensità che spaventa anche me, ma ormai
non è più possibile tornare indietro.
Batto con le mani sul divano ai lati delle mie gambe per chiamarla a me ed è
incredibile anche l’equilibrio che stiamo spontaneamente mantenendo fra noi, nel
mio gesto non c’è comando, ma invito e la sua risposta non è obbedienza, ma
identico incontenibile desiderio. Sale in ginocchio sul divano, a cavalcioni delle mie
gambe, dritta sulle cosce e col bacino spinto in avanti in modo da mettere la sua
figa a un palmo dalle mie labbra. Io metto le mie mani all’interno delle sue
ginocchia e inizio a salire premendo lungo la parte posteriore delle sue gambe ma
affondando le dita nell’interno coscia ad ogni tratto, fino ad arrivare all’attaccatura
inferiore delle natiche, a risalirne le rotondità fino al centro e poi di colpo a
brancarle entrambe con forza a piene mani. Lei intanto mi parla, con una voce che
l’eccitazione le ha abbassato di due o tre semitoni e che ora suona rauca, con una
vibrazione simile a quella dei grandi felini in agguato, una specie di gorgoglio lento
e cavernoso. E mi sfida, come se fossimo impegnati in un vero e proprio duello
erotico animale, in un primordiale rito d’accoppiamento.
“Volevi tanto vederla, la mia figa, no? E magari toccarmela… E leccarmela,
eh vecchio porco?… E ti toccavi il cazzo, vero? Bè, eccola, brutto maiale,
fatti avanti, prend… aah…”
Non le lascio finire la frase. Con le mani sul suo culo, la attiro con forza verso di
me, tuffando la mia faccia prima fra le sue gambe, poi fra le labbra della sua figa e
una volta trovato il clitoride, lo stringo fra i denti foderandoli con le mie labbra e
inizio a succhiarglielo con la maggior aspirazione possibile.
Lei smette di parlare, è visibilmente scossa da ondate di tremito ed emette soltanto
quel gorgoglio animale di prima, adesso leggermente più acuto. Nel dubbio che
stia provando dolore, interrompo l’aspirazione e allento la presa, alzando uno
sguardo interrogativo verso la sua faccia. Ma il grido è immediato.
“NO, nooo!… Così, ancora… Così volevo proprio!…”
Eh sì, però questa schiacciata a rete non me la lascio sfuggire…
“Ma come, Sua Altezza Figadoro! Non era Lei quellla del “guardare e non
toccare è una cosa da imparare” che nel giardinetto ha chiuso severa le
gambe appena ho osato toccare il mio umile cazzo? Non Le pare che queste
ora siano brame da troia infoiata? Come potrei mai accontentarLa?”
“Stronzo bastardo… Sì, va bene, sono una troia infoiata, anzi di più: voglio
essere la tua troia infoiata, volevo farti tirare il cazzo perché mi eccita farmi
guardare nuda o sventolare la figa sotto gli occhi di un uomo, e tu mi facevi
bagnare ogni volta che mi perlustravi sotto la gonna, mi sono alzata da
quella panchina con le mutandine zuppe, avrò lasciato una piccola pozza su
quel sedile. Ma allora forza, falla godere questa grandissima puttana che hai
davanti, è solo a te e alla tua lurida bocca schifosa che voglio dare adesso la
mia figa e tutti i miei odori e sapori, mordila e succhiala forte come prima o
come cazzo ti viene voglia e poi annusami, assaggiami, lasciati sbrodolare
addosso la mia prugna, fammi urlare, fammi godere, dàiiiii…!”
E mentre grido gli prendo la testa con tutte e due le mani e me la schiaffo di nuovo
sulla figa, premendo forte, fino a soffocarlo. Voglio godere, godere, non c’è altro
che mi interessi ora. Sento i miei rantoli sempre più forti, le cosce che mi tremano,
lui morde forte e succhia senza riguardo, ogni tanto per prendere fiato mi lecca
velocissimo il grilletto che ad ogni cambio di stimolazione impazzisce, ormai
ipersensibile per il lungo strofinamento, mentre fra la mia broda e la sua saliva che
colano insieme ormai a getto continuo, credo che la T-shirt bianca del vecchio
porco sia ormai irriconoscibile.
Basta, io non respiro più, ho bisogno di prendere fiato, e so cosa fare. Mi abbasso
leggermente in modo da liberare almeno la bocca e inizio a strisciare il mio naso,
che non è minuscolo, fra le sue grandi labbra, usando il setto nasale come fosse
un dito. Lei capisce al volo, con le due mani si allarga la vagina per scoprire il più
possibile il suo clitoride ormai quasi viola e inizia a muovere tutto il bacino in modo
da masturbarsi col mio naso. Questa cosa in passato ha sempre eccitato molto
anche me perchè ritmicamente mi ritrovo una fregna sugli occhi, un’occasione
poco frequente che il mio cazzo apprezza moltissimo pur senza esserne diretto
partecipe. E allora io sai che faccio? Come bonus, adesso inguaino dentro a quel
lago viscido a cui è ridotta la sua figa anche due dita, senza tanti complimenti. Lei
sussulta. Gradisce parecchio la new entry.
“Cazzo che porco che sei, veramente… me la stai demolendo in tutti i modi e
in tutte le salse, ma non mi sono mai sentita così troia e così tanto eccitata.
La tua mano mi aveva già fatto partire di testa quando me l’hai messa alla
gola, la immagiinavo che mi masturbava, che mi entrava in bocca, che mi
strizzava i capezzoli, anche che mi stringeva forte la gola mentre il tuo cazzo
apriva in due la mia figa. Se tu non l’avessi levata quando ho accettato le tue
condizioni credo che sarei venuta lì, in piedi nel vialetto e appesa alla tua
mano come una marionetta. Voglio che aggiungi un altro dito a spanarmi la
figa, voglio sentirti di più. E scopami, fottimi, spingi forte con quelle dita più
che puoi, voglio venire di brutto così, non posso più aspettare…”
“Sarà un piacere, lurida maiala in calore, ma allora tu da adesso guardami
fisso negli occhi, fammi vedere fino a che punto riesce ad eccitarsi una vera
porca e quanto godi a mostrare a un uomo l’oscenità dei tuoi orgasmi
selvaggi. E di sicuro mi troverai spettatore incantato sotto le tue gambe
aperte a raccogliere avidamente in bocca ogni tuo umore, ogni bava, ogni
liquido animale che stillerai godendo.”
“Sono pronta, ho i miei occhi nei tuoi. E non hai idea di quale bisogno
addirittura fisico ho di farmi guardare da te mentre godo e vengo, specie se è
proprio di te…ah… che sto…oh, sì… godendo!”
Prima che finisca di parlare, io ho già unito strettamente pollice e mignolo di una
mano, le ho fatto bagnare di saliva le altre tre dita unite e ho iniziato a stantuffare
dentro la sua figa. Lei è stanca, è da tanto tempo in ginocchio sul divano senza
potersi mai rilassare, ma non vuole fermarsi ora. Ricomincia a rantolare rauca,
salendo di tono ogni volta che io aumento il ritmo dei miei affondi, i suoi occhi
puntati nei miei iniziano a lacrimare per la stanchezza ma anche perché sopraffatti
dalla forza dell’eccitazione che si sta irradiando dal suo ventre alle gambe ormai
prossime a cedere, ai capezzoli contratti, alle mani che ha appoggiato sulle mie
spalle per aiutarsi a rimanere dritta e che sento premere e affondare nella mia
carne. Mi fermo un istante per immergere nella sua vagina e lubrificare a dovere
un dito dell’altra mano e con quello vado a umettarla tutto intorno all’ano mentre
con le tre dita riparto implacabile a sbatterla con la ruvidezza animale che si è
impossessata di noi da quando abbiamo iniziato a toccarci ed eccitarci a vicenda.
E ora, senza rallentare il ritmo con cui la martello con le tre dita, le introduco
deciso nell’ano il dito con cui l’ho preparata. Le sfugge un grido più forte
“Ah, cazzo, così! Fino in fondo!”
Eccoci. Mentre aumento ritmo e forza delle penetrazioni vaginali e le affondo
completamente il dito nel culo, sento che il suo rantolo continuo si sta
trasformando in un vero ruggito con improvvise fiammate alterne di torva
ostinazione e di selvaggio trionfo. Ora i suoi occhi sono sbarrati da una furia
interna disumana ma insieme disperatamente attaccati ai miei nel tentativo di non
perdermi e non perdersi dentro al delirio che la sta attraversando, con il nostro
reciproco sguardo come esile filo a tenerci in contatto con la realtà. Del mio cazzo,
che ormai è in gara di rigidità col tondino di acciaio con cui si arma il cemento per
l’edilizia, preferisco dimenticarmi, anche perché è sull’orlo dell’abisso e qualsiasi
cosa lo sfiorasse adesso lo farebbe esplodere.
“Maledetto porco!… Guardami, guarda la tua troia che gode… lo senti
quanto è acre il suo odore di richiamo al maschio per la monta?… lo vedi il
sudore che le sta schiumando su tutto il corpo?… Vecchio maiale ingrifato, ti
tira forte il cazzo adesso, eh? Dimmelo che te l’ho fatto venire duro a morte,
dillo alla tua battona… voglio esserti troia… sentirmi puttana… mostrarmi
zoccola e offrirmi come vacca… ed è per te che lo voglio, fammi venire tu,
fammi morire tu, e guardami bene porco, guardami adesso, che ci sono
quasi, mi trema tutto e mi manca il respiro e ho anche paura sai, ma non
posso più fermarmi tucontinua continuacazzo basta che non tenevai
nonteneandarecazzocontinuaeccoeccoECCO…AHRRAHHAaaaa
Spettacolo… Mai visto niente del genere. Qui c’è da rimanere a bocca aperta,
storditi. Ed è proprio a bocca aperta sotto la sua figa dilatata che vado
raccogliendo ogni goccia di orgasmo che ne vada colando, un po’ per forza di
gravità, un po’ per il mio risucchio e un po’ aiutandomi con la lingua con cui ripasso
e ripulisco le pareti interne della vulva. Me ne riempio la bocca, assetato di una
femmina così assoluta.
III
E finalmente la Femmina Assoluta può lasciare la posizione, rotolare sul divano e
stravaccarsi di fianco a me a prender fiato, con lo sguardo perso in avanti.
“Che roba, eh? Un po’ me l’aspettavo, un po’ ci speravo, ma non a questo
livello di intensità. E ho avvertito costantemente sottotraccia una sensazione
di pericolo, imprecisato. Fa un po’ paura, è che poi la paura a sua volta ti
eccita e ti spinge ancora più avanti, dove la paura di nuovo aumenta e ti
sembra di non poter più fermare questa giostra infernale. Infernale ma
goduriosissima, eh… cazzo se si gode… Tu che mi vedevi, che faccia avevo?
(Silenzio)
Si gira verso di me. Mi guarda.
“Hai perso la parola? Ma cos’hai in bocca?”
In silenzio, indico la sua figa. E mi viene da ridere, ma cerco di trattenermi.
“La mia…? Ma sei scemo? Ma ti stai tenendo in bocca un intero bidè di mie
secrezioni corporali assortite? Non ci posso credere…”
Sempre in silenzio, mi stringo nelle spalle come per giustificarmi e con aria da
tenero pelouche indico lei con un cenno della testa e faccio il segno del cuore con
le due mani. Ma devo stringere forte le labbra perché la bocca è veramente
stracolma…
“Ahahahah, ma sarai coglione? Altro che maniaco porcone, sei un disonore
per la tua categoria, in fondo storica e non priva di una sua nobiltà. Sputa
fuori subito!”
e mi tira una ditata micidiale nella pancia, provocando uno tsunami aereo di
liquami che si abbatte a raggiera sul pavimento nonchè una risata convulsa di
entrambi che dura un bel po’ senza riuscire a spegnersi, ma in fondo serve anche
a ricaricarci dallo stress fisico e dalla tensione erotica appena vissuta.
Concludo, guardando nostalgicamente il pavimento macchiato:
“Che peccato! Sarebbe stato un così bel ricordo di te…”
“Guarda, se ti interessa l’articolo, ne produco a litri tutti i giorni, sono
sempre bagnata. Ti lascio un numero che quando hai bisogno te ne faccio
avere una Magnum millesimata Gran Riserva tramite un Glovo o un
Deliveroo. Non ti faccio pagare, eh, però lascia una mancia ai ragazzi, fanno
un lavoro di merda sempre in bici ma sono così carini, quasi tutti di colore.
Qualche volta gli do qualcosa anch’io…
“See, te lo dico io cosa gli dai e anche il perchè, grandissima troia! Guarda
che le misure non contano, conta il manico, ancora non l’hai capito? Anvedi
‘sta ninfomane, sei te la vera maniaca da Giardino Pubblico! Ti manderò io
un impermeabile professionale che non mi sta più, apri/chiudi rapido
Superflash brevettato, con illuminazione interna a faretti orientabili per l’uso
serale, Vedrai quanti toy boy di tutti i colori ti puoi fare, mi ringrazierai…
Ahahahah!”
Dopo di che, come prima o poi c’era da aspettarsi, si manifesta l’ospitalità della
perfetta padrona di casa, sollecita e ineccepibile.
“A proposito di cibo a domicilio, hai fame? Vuoi che faccia arrivare
qualcosa? Qui purtroppo non ho niente, questa non è la casa dove abito, l’ho
presa come punto d’appoggio per il lavoro che ruota in questa zona, e poi
anche come studio, come alloggio temporaneo per amici o parenti in visita…
e al bisogno anche come quello che voi maschietti chiamate scannatoio o
più simpaticamente ciulodromo, vedi il caso presente…
Guardo l’ora, non è ancora sera, ma magari lei ha saltato pranzo e adesso
avrebbe piacere di sgranocchiare qualcosa.
“Se ti fa piacere, molto volentieri. Io, sinceramente…
“…tu vorresti sborrare. Hai ragionissima, ci stiamo dimenticando, io mi sto
dimenticando, del vecchio e glorioso pendaglio che dondola fra le tue
gambe. Anche lui, e tu insieme a lui, avete diritto ad essere spediti nel
metaverso dell’erotismo primordiale e dell’estrema bestialità. Ed è giusto e
molto eccitante anche per me che ci sono passata, che sia ora il mio turno di
accompagnare e sostenere te fra le estasi orgiastiche e i timori sotterranei
che ti incuterà quella specie di Jurassic Sex. L’unica dritta che posso darti è
quella di buttarti sempre, senza frenarti su nulla. E fai conto su di me, che
non ti mollerò mai da solo là dentro.”
Cazzo che donna. Che donna e che figa, l’ho già detto? Che donna, che figa e che
empatia che riesce a creare con le persone. E adesso… andiamo a comandare.
“Ma tu come hai fatto a “entrare?”
“Guarda, non te lo saprei dire con esattezza, mi ci sono trovata. Forse sei
stato tu ad accendermi, quando io cercavo di provocarti e tu allora hai tuffato
con forza la faccia fra le mie cosce e di furia hai iniziato a masturbarmi,
rudemente e disordinatamente. Mi piaceva un botto, ma tu ti sei fermato per
provocarmi a tua volta. E lì sono partita definitivamente. Ma credo che
ognuno debba farsi la sua storia, seguendo gli eventi. Magari partiamo
giusto dalla stessa posizione, invertendo soltanto le parti. Prima però voglio
conoscere il tuo cazzo da vicino, siamo ancora vestiti come all’inizio, tu
soprattutto. E non va bene.”
Mi inginocchio per terra davanti a lui, ancora seduto sul divano e mi faccio largo fra
le sue gambe per raggiungere una posizione più favorevole e prossima al mio
bersaglio. Appena la raggiungo, decido di approfittare della comoda larghezza dei
suoi pantaloni per infilare le mani nelle due tasche oblique laterali e da lì
raggiungere cazzo e coglioni come avevo visto fare a lui sulla panchina. Ecco, li
sento, ancora chiusi negli slip ma già in discreto tiro. Vediamo se funziona di
nuovo la provocazione…
“Ehi, brutto porco bavoso, com’è farsi toccare il cazzo da una bella troia? Ti
piace o preferisci toccartelo da solo? Dài, tiriamo via ‘sti pantaloni… ecco,
così… wow, ma cos’è questa grossa salsiccia tutta di traverso? E quest’altro
sacchetto bello gonfio in mezzo alle gambe? se lo schiaccio forte si sgonfia?
Paura eh? Però la salsiccia la voglio addentare, ancora impacchettata…
eee…gnnaam, lì senti i dentini?”
“Aaah… sì…”
“Ti piace eh, maiale… vuoi più forte? Dillo che sei un lurido e un morto di
figa e vedrai che la tua puttana ti morde più forte… intanto fi faccio sentire il
mio respiro caldo attraverso la stoffa, senti senti come scotta se soffio
forte…
“Aaah…ah… cazzo, sì sono un lurido, mordi dai…”
“Nossignore, sei anche un morto di figa, ricordi?”
“Ma vaffanculo zoccola, va bene, sono un morto di figaaaaah, porca troia che
denti!”
“Già, e anche che bel cazzo duro che c’è qui adesso, tiriamolo fuori del tutto
e facciamo un bel gioco”
Mi sfila le mutande e mi guarda il cazzo, è duro e pulsante, chissà se sente la
voglia di prenderlo in mano, dopo tutto adesso quel cazzo è un suo possesso, un
pensiero che già me lo fa tirare, ed è a sua disposizione così come è a mia
disposizione la figa che ha fra le gambe, altro pensiero che mi eccita non poco.
Ora mette le sue mani sulle mie ginocchia, risale veloce le mie gambe e finalmente
arriva al pube a prendere possesso dei suoi beni: in una mano racchiude il mio
scroto, giocherellando goduta con le mie palle, mentre con l’altra impugna decisa il
mio cazzo. Mi colpisce e mi ingrifa la stretta che sento sul membro, come se lei
godesse a riempirsene la mano e volesse tenerselo per sé
“E allora, bella figa, ti piace il mio cazzo da tenere in mano?”
“Da morire, me lo porterei in giro come antistress, strizzandolo più forte che
posso. E quando sborra me lo ciuccierei pensando a un bel 69 con te che mi
lecchi e mi succhi come hai fatto prima, che lingua micidiale che hai”
Apposto. Ora però diamoci da fare che ho una fantasia da realizzare. Metto lei a
sedere sul divano. col cuscino dello schienale un po’ abbassato in modo che
quando lei si appoggia, la testa si riversi un po’ all’indietro. E poi le prendo le
mani…
“Prima di tutto un rito di gratitudine. Ti succhio questo dito medio con cui ti
sei masturbata davanti a me facendomi morire di voglia. Poi bacio una per
una queste unghie con cui ti sei aggrappata alle mie spalle e hai inciso sulla
loro pelle i simboli ancestrali del tuo orgasmo. Quest’altra invece è la mia
lingua umida, da animale in pregustante attesa, che ti passo fra dito e dito, in
tutte quelle piccole selle che li congiungono alla base e fra le quali, quando
sarà il momento, vorrei veder scorrere il mio sperma…
“Eccheccazzo, vecchio porcone, ma tu mi fai tirare e sbrodolare la figa anche
quando fai il poeta romantico, guarda qui! O sono io che sono diventata
ormai una vacca fuori controllo?”
“Ma quale vacca, tu sei la sfolgorante Regina di tutte le troie, un essere che
ho cercato per tutta la vita ed ero ormai convinto che appartenesse più al
mito che al mondo reale e ancora lo penserei se non percepissi
distintamente i tuoi odori, se non mi avesse attraversato le orecchie il verso
rauco del tuo appagamento e non avessi ora davanti agli occhi i tuoi
capezzoli che giocano a rimpiattino con i ricami della camicia. E comunque
pure a me tira il cazzo, eh, anche solo a parlarti…
Ma c’è ancora un ultimo passaggio importante che voglio compiere: voglio
sentire il palmo dele tua mani premuto contro il mio viso. Non devo certo
spiegartelo, noi maschi ci sentiamo spesso riassunti e rappresentati
principalmente dal nostro organo sessuale, che è un po’ un nostro avatar e
insieme una specie di antenna sensoriale e conoscitiva dove altri animali
usano la lingua, dei lunghi baffi, complessi sistemi acustici di
segnale/risposta e anche vere e proprie antenne. Bè, ecco, quando hai preso
in mano il mio cazzo e ti ho sentito stringere forte e averne piacere, non
ridere, ma mi sono sentito simbolicamente e anche fisicamente più che
accolto, più che accettato, proprio come venissi abbracciato stretto con
trasporto, ma ancora di più, bisogna oltrepassare l’affetto, sia pur grande e
sincero, perché è una cosa che avviene in un contesto così fortemente
erotizzato da far saltare le lancette di tutti i sensometri, per me è
un’esperienza veramente totalizzante. E come potrei non provare e non
esprimerti una gratitudine anch’essa radicale e animale, così primordiale da
nascere addirittura prima del linguaggio e restare incomunicabile se non con
altri gesti ed altri simboli?”
Trattengo ancora qualche istante le sue mani sul mio volto e poi, sempre in
silenzio, gliele conduco dolcemente a intrecciarsi dietro la sua schiena, come
avviene nella posizione militare del “riposo”. Lei, che è sempre di comprensione
fulminea, capisce al volo che si tratta di una convenzione fra noi, di un bondage
totalmente virtuale ma certo non meno rigido, che intende bloccarle qualsiasi
azione manuale; e mi fa un leggero cenno di assenso, un po’ incuriosita. Io mi
metto in ginocchio sul divano nella stessa posizione che aveva assunto lei a parti
invertite, cercando di portarmi il più avanti possibile. Arrivo al suo viso e appoggio
sulle sue labbra il mio grosso scroto da anziano, disponendo invece sopra il naso
la mia verga a metà erezione. Lei mi guarda, attenta e partecipe. Pare a suo agio e
dopo quache istante sento schiudersi le sue labbra sotto le palle fino a risucchiarle
dentro la sua bocca, riempiendola. La sua lingua si muove instancabile e la mia
eccitazione aumenta di continuo irrigidendomi il cazzo sempre di più. Allora, prima
di non riuscire più a manovrarlo agilmente, inizio a rotolarlo con le mani sulla sua
faccia a destra e a sinistra facendogli riconoscere al tatto guance, zigomi, occhi,
sopracciglia e fronte, fino all’attaccatura dei capelli. E ogni volta che passo sopra il
suo naso premo con più forza per stimolare la sensibile uretra a contatto della
durezza del setto nasale. Lei intanto continua a lavorarmi i cogliioni con labbra,
lingua e grande uso di saliva e la mia eccitazione aumenta sempre più
rapidamente, procurandomi un quasi inizio di stordimento. Ma per procedere nella
realizzazione della mia fantasia ora devo fermarmi qualche istante, in condizioni di
erezione completa diventa difficile il controllo accurato della minzione che invece
mi occorre. Di conserva anche lei si ferma in attesa, sempre bravissima e attenta a
interpretare anche i più impercettibili segnali. Poco dopo io raggiungo una
condizione adeguatamente libera di procedere ed inizio ad urinare un breve e
sottile getto di piscio caldissimo dalla mia cappella; il liquido si insinua direttamente
fra i suoi capelli e scivola veloce zigzagando in quella foresta in direzione del
cuscino. Ma lei se n’è accorta e ha capito in anticipo, probabilmente sentendo sul
naso il passaggio dell’urina nell’uretra e ha trattenuto il fiato, sorpresa, per lasciarsi
poi andare socchiudendo gli occhi al piacere quando l’ha sentita scorrere sul cuoio
capelluto. Mi guarda con un’ombra di sorriso e mi dice solo:
“Sì”
Ricomncio ad urinare, ora anche scendendo lungo la linea del naso e fermandomi
un’altra volta quando la punta del mio cazzo raggiunge le sue labbra, di nuovo
richiuse dopo che se ne è allontanato il mio scroto. Io sono eccitato a mille e cerco
di controllare la mia erezione ma faccio veramente fatica a rimanere presente a me
stesso, la tensione erotica per me è altissima, mi rendo conto che in qualche
intraducibile linguaggio animale sto marcando ben più che un territorio, addirittura
un esemplare vivente. Un altro sottile getto al centro delle labbra, dove l’urina si
divide in due rivoli che scendono correndo verso i due angoli della bocca e da lì
lungo il collo, per finire assorbiti dalla camicia che la donna ancora indossa.
Lei mi guarda fisso, per alcuni interminabili attimi, con gli occhi scintillanti per
l’eccitazione.
E poi apre quelle labbra, aspettandomi.
Anche a me ora brillano gli occhi, non voglio dire che siano lacrime, ma di sicuro è
commozione, emozione quasi insostenibile. Piscio un getto più forte, più lungo; lo
vedo rimbalzare sui denti, gorgogliare sulla lingua e sparire nella gola. Lei passa
veloce una punta di lingua sulle labbra, appagata. Poi mi ripete:
“Sì”
ed io non riesco a pensare ad altro che a questo: lei vuole essere mia, per un
attimo o per una vita, ma in ogni caso interamente. Alternative zero.
Il mio cazzo scende ora lungo la linea del mento e raggiunge una graziosissima
fossetta alla base del collo. Marco anche quella, creando un minuscolo laghetto,
ma improvvisamente mi sento preso da una sorta di inspiegabile raptus: punto il
cazzo in quella fossetta e inizio a spingere, sempre di più come se volessi entrarvi.
L’asta mi diventa durissima, inflessibile, ma quello che sto sentendo appena
sottopelle davanti alla mia cappella è la trachea di lei, più spingo e più lei fatica a
respirare, questa cosa non mi piace per niente ma l’istinto di spingere non mi
abbandona, chissà cosa rappresenta, forse un rito di sottomissione, e sento
avvicinarsi il panico di non sapere come uscirne. Spaventato guardo lei che sta
soffocando col mio stupido cazzo puntato alla gola. Ma lei è incredibile, si vede
che è in difficoltà ma riesce a mantenere la stessa espressione che aveva pochi
attimi fa, quando mi ha ripetuto “sì” per consegnarsi a me, senza condizioni. E per
fortuna lì realizzo che allora non serve più alcuna sottomissione, men che meno
violenta, per raggiungere non solo la sua figa ma anche l’anima che ci sta dietro,
proprio come le avevo dichiarato di volere all’inizio. Serve solo la volontà e il
coraggio di raggiungere quel proposito, qualsiasi strada si voglia seguire, sesso
incluso.
E finalmente salto indietro come una molla, liberando la sua gola e restituendole il
respiro. Mi sento sollevato ma resto ancora scosso, sono preso da tremiti e senza
accorgermene mi sto pisciando addosso; lei mi sorride ma mi manifesta la sua
disapprovazione con un sopracciglio alzato e con un risucchio ritmico della lingua
da vera maestrina…
“zut zut zut zut”
…e intanto dirige lo sguardo prima sul getto dell’urina che sto sprecando a terra e
poi sul suo corpo, la cui marcatura invece è rimasta interrotta.
“Hai ragione, scusami, i lavori vanno finiti…”
Anche la mazza che mi si era completamente ammosciata, davanti alla prospettiva
delle sue tette ora riprende velocemente tutto il suo vigore. Piscio prima
sull’abbottonatura centrale della camicia, poi all’altezza della punta dei seni viro
prima a destra e poi a sinistra descrivendo un 8 orizzontale con i due capezzoli al
centro degli occhielli.
E a vederla così, con la camicia fradicia di me e i capezzoli induriti che tentano di
bucare la stoffa e non riuscendovi se la fanno aderire addosso per proclamare
all’universo la loro sfacciata urgenza di essere martoriati, premuti, avvitati,
succhiati, mi esplode una voglia incontenibile di metterci su le mani. Piombo come
un falco con tutte le dita aperte su quelle tette a mia misura di porco, gliele
stropiccio attraverso la stoffa bagnata, le strizzo, le schiaffeggio. Ma non può certo
bastarmi: jnfilo allora le dita nei due lati dell’abbottonatura e strappo con un colpo
secco. Rotola via saltellando una manciata di minuscoli bottoni bianchi, il tessuto
cede e apre il suo sipario su uno spettacolo davanti al quale sarei tentato perfino di
cadere in preghiera. Ma non c’è tempo, il cazzo urla e mi affretto ad accontentarlo:
una bella pisciata in mezzo e giù con le mani a spalmare capezzoli e dintorni.
La fortunata tenutaria di quel bordello, ancora in bondage virtuale (incredibile la
sua incrollabile fedeltà alla consegna), si offre indifesa alla mia furia manipolatoria,
cosa che mi manda ai matti. Lei ride e mi percula:
“Dai Grande Porco, fai vedere chi sei, distruggile quelle troiette altezzose
sempre in punta di capezzolo per farsi vedere, prendile a morsi, tiragli forte i
bottoncini e poi piegaglieli ai tuoi voleri, così! E adesso schiacciale contro il
tuo Regal Cazzo, che si inchinino alla sua maestò…
Ma la conosco ormai, la voce le sta scendendo di tono ed inizia a rantegare, il fiato
le si accorcia, la figa inizia a liquefarsi. È ora di ripartire, c’è ancora strada da fare.
Punto la mazza sul suo ombelico e urino, dapprima creando un laghetto e poi
facendolo traboccare con rivoli che corrono in tutte le direzioni. Riparto da appena
sopra il cespuglietto della figa puntando decisamente su un fianco dove le bagno a
cascata la coscia interna, la gamba e il piede, per passare poi all’altro piede e da lì
risalire simmetricamente fino al pelo. Le massaggio a lungo e con dedizione quelle
bellissime gambe, strappandole qualche gemito, poi mi siedo a terra davanti ai
suoi curatissimi piedi, li bacio ovunque, ne succhio gli alluci e infine li riunisco
pianta contro pianta col non secondario effetto di farle allargare di parecchio le
gambe. E con quell’avvincente spettacolo davanti agli occhi inserisco il cazzo in
mezzo ai due piedi, li premo con forza fra loro schiacciandolo ed inizio a segarmi.
Lei riprende con i rantoli, ora si sta ingarellando per davvero e averla davanti così
in calore, a cosce divaricate e con i piedi stretti a masturbarmi il cannone, diventa
veramente difficile trattenere la sborra che bussa sempre più imperiosa all’uscita.
È ora di sciogliere il bondage, mi alzo e le tendo le mani, lei estrae le sue da dietro
la schiena massaggiandosi polsi ed avambracci e me le porge. Le prendo, le bacio
e le conduco ai lati della sua vagina. Come sempre mi capisce al volo e si dà da
fare per allargarla, in attesa ma già in calore. Io faccio appello all’ultimo piscio
rimasto in vescica, avvicino la cappella al clitoride e apro i rubinetti, alla massima
pressione possibile. Il getto caldo investe il bottoncino che va ingrossandosi
mentre lei ravana la sua figa per esporlo più che può finchè il getto finisce. Passo
all’orale, conrtinuando il lavoro a colpi di lingua e di risucchio e sempre in
magnifica collaborazione con le sue mani che mi indirizzano e mi correggono.
Iniziano i primi tremiti e i primi rauchi gorgoglii, lei è veramente una giumenta
instancabile e merita una dedizione assoluta.
“Mia Luminosissima Troia Regina nonchè Adoratissima Puttana Imperatrice,
ho una voglia incontenibile e ormai anche un bisogno insopprimibile di
accedere alla Vostra Umorosissima Fregna con il mio indegno ed umilissimo
Cazzo, non posso più resistere a lungo…”
“Chiavami…
Chiavami, dolcissimo porco, non ho desiderio più grande di sentirti
martellare dentro di me fino a sfondarmi. Prendi la mia figa, aprimi il culo,
riempimi la bocca, fammi tutto quello che vuoi. Puoi avermi completamente
nuda, fino alll’anima, ti do anche quella. Con tutta me, e su tutta me voglio
vedere e sentire la tua unica, bramatissima sborra”
Come due belve feroci ci affrontiamo. Fortissimo odore di selvatico, versi, grugniti,
ringhi, guaiti e ruggiti. Un pene infoiato che trafigge a colpi implacabili di lombi il
ventre in calore di una femmina selvaggiamente aperta alle condivise voglie.
Resistenze fisiche e nervose allo spasmo. Scontri, morsicature, slinguate. Duelli,
strusciamenti, musate. Saliva, sangue, muco, sperma. Pozza d’acqua, letto di
foglie.
Tana.
“Un ultima cosa ho da chiederti prima di salutarci, rivestirci e chissà se mai
rivederci. Posso stare cinque minuti, non di più, fra le tue cosce che mi
abbracciano e la testa appoggiata al tuo cespuglietto? È un mio sogno di
benessere che voglio poter ricordare. Resto presente, eh. Non mi voglio
isolare né addormentare, possiamo anche parlarci. È giusto un fatto di
situazione”
“Ma certo, vieni”
“Come sto bene qui, non riesco a descrivertelo. Sai cosa stavo pensando?
Pensa che stupido. Quand’ero bambino viaggiavamo sempre in treno, non ti
sto a spiegare qui perché. Per andare in vacanza si facevano dei lunghi
viaggi e al ritorno, solo al ritorno, si terminava il viaggio in una stazione di
testa, come ce ne sono in diverse città. Questo comportava che, scesi dal
treno, per uscire dalla stazione occorreva costeggiare a piedi tutto il
convoglio fino al locomotore dove tutti i binari finivano e c’erano le scale. Io
mi incantavo sempre a guardare il locomotore, per me piccolo bimbo
un’enorme e potentissima macchina che aveva percorso instancabile
chilometri e chilometri attraverso campagne, fiumi e città per portarci a casa.
Da piccolo ero affascinato da tutti i veicoli e attribuivo loro un’anima. Così,
guardando questo locomotore dai grandi occhi luminosi, un po’ sentivo
grande ammirazione per la sua mole, la sua velocità e la sua potenza, ma un
po’ anche gratitudine per averci trasportato, così tanti, fino alla nostra meta
che da soli non avremmo mai raggiunto. Me lo ricordo come fosse oggi…
Bè, sai, ho pensato che in realtà è davvero oggi. Sì, tu non sei grande come
un locomotore, ma da questa prospettiva così vicina anche tu sei molto
ingrandita. E soprattutto i miei sentimenti sono gli stessi: l’ammirazione per
la tua bellezza, la tua forza, la tua capacità di affrontare gli ostacoli; e la
gratitudine per avermi trasportato incolume in un lungo viaggio che da solo
non avrei potuto compiere. Che bella cosa ci è capitata…”
“Sì”
In piedi sulla soglia della casa.
Non ci sono parole, ci siamo già detti tutto, o meglio ce lo siamo già fatto.
Cerco di fare un po’ lo splendido e un po’ il pagliaccio, o le due cose assieme,
come sempre. E davanti a lei mi abbasso fino a restare seduto in equilibrio sui miei
talloni. Le allargo un po’ le gambe, per spiare sotto la sua gonna. Cerco di vederle
la figa, come sulle panchine. Ho perfino un principio di erezione.
Lei lascia fare, con un’ombra di sorriso appena malinconico e io mi rialzo, convinto
e soddisfatto di aver appena realizzato per entrambi la miglior uscita di scena
possibile prima del sipario.
Errore.
Lei non è tipo da lasciarti l’ultima parola.
Un attimo prima che io le giri le spalle per allontanarmi, mi afferra il cazzo attraverso i pantaloni. E lo stringe forte. Fortissimo. A lungo.
Solo che stavolta ha gli occhi lucidi.
E anche i miei si stanno appannando.
Racconto di: Il Chierichetto