La Villa

Racconto Erotico La Villa Parte Prima
Prima Parte

Non aveva mai creduto che posti come la Villa esistessero davvero. Li aveva visti nei film, ne aveva letto sui libri, qualche volta forse li aveva perfino sognati. Ma erano solo quello appunto, fantasie, o sogni. Poi era finita in uno strano giro come sempre per una questione di soldi o almeno cosi era stato per lei. Un affitto troppo alto, nessun aiuto dalla famiglia e lavori a progetto che non davano alcuna garanzia. Era finita cosi a fare la squillo, la escort come amava definirsi per scacciare quella sensazione di squallore che aveva dentro senza mai riuscirci davvero. Ammirava le donne che riuscivano a farlo senza remore, senza vergogna, perfino godendosi quella vita e i clienti che la riempivano ma per lei non era cosi. Forse non voleva che diventasse cosi perché abituarsi a quel mondo, farlo diventare parte integrante della normalità sarebbe stato come tradire se stessa, diventare un’altra che non voleva essere. E ora questo, il punto più alto o forse il più basso di questa sua nuova carriera. Un invito incomprensibile mandatole da uno dei suoi clienti più ricchi, un anziano politicante con una passione morbosa per i collant bianchi, una macchina con tanto di autista venuta a prenderla nel cuore della notte e infine, dopo due ore di viaggio, la Villa. Nascosta da un bosco persa dentro una proprietà di qualche chilometro quadrato, era illuminata come per una serata di gala con una sfilata di macchine davanti alla scalinata dell’ingresso degna di un party di Hollywood. La Villa le sembrò subito lo scenario di un film: surreale e pericolosa. Venne portata su al secondo piano dopo essere entrata da un ingresso laterale, quello della servitù probabilmente, e li trovò steso su un letto il suo costume di scena. Già perché le stranezze erano solo cominciate con quell’invito ma stavano diventando sempre di più. Una notte in costume, non certo per un carnevale normale perché il suo era costituito da una guepiere di seta con calze bianche dalle balze di pizzo finemente ricamate, scarpette francesine con un tacco da tortura cinese e in pratica niente altro. Niente reggiseno per cominciare perché la guepiere non lo copriva ma lo sosteneva esponendolo in un osceno balconcino settecentesco. Niente mutandine naturalmente. Era nuda, semplicemente esposta a chiunque volesse guardarla. E usarla. Questo le fu detto subito dopo essersi ripresentata con indosso il suo costume.

Le Regole

Un affettato maggiordomo probabilmente omosessuale l’ha squadrò con aria di sufficienza e girandole intorno per sistemarle i lacci della guepiere con aria seccata le spiegò le poche semplici e inviolabili regole di quella festa. Lei sarebbe stata un oggetto, uno dei divertissement degli invitati sia uomini che donne e per loro e con loro avrebbe fatto qualsiasi cosa le fosse stata chiesta o ordinata. Qualsiasi cosa… queste parole la fecero rabbrividire. Aveva già avuto a che fare con clienti dai gusti perversi e in qualche caso aveva scoperto che in fondo non le dispiaceva tanto abbandonarsi a un tipo di sesso più trasgressivo. Lingerie di pelle, latex, corde e frustini col passare del tempo erano diventati strumenti quasi indispensabili quando aveva a che fare con i clienti più stravaganti e con alcuni si era spinta anche più in la. Ma questo era diverso, non c’erano limiti non c’era alcuna parola di blocco o certezze e quando il maggiordomo le porse la maschera carnevalesca che avrebbe dovuto indossare si senti come precipitare per un attimo. Niente volti, niente nomi, sia gli invitati sia le ragazze e ragazzi che avrebbero servito durante la serata sarebbero stati in maschera, tutto quello che sarebbe accaduto nella Villa durante la festa li dentro sarebbe rimasto. Avrei dovuto rifiutare, pensava e ripensava. Avrei dovuto rifiutare fin dall’inizio. Ma col senno di poi è sempre troppo semplice sapere cosa è giusto. Quando vide quell’invito accompagnato da quattro banconote con un elegante 500 stampato sopra le sembrò folle rifiutare soprattutto perché altrettanti l’attendevano alla fine della serata. Non era mai stata pagata cosi tanto, che male poteva esserci? Lui era uno sicuro, non gli tirava nemmeno senza il viagra ed era cosi debole di cuore che non poteva nemmeno prenderlo ogni volta. Gli piaceva guardare, accarezzare, leccare lascivamente le sue gambe tornite avvolte nel nylon bianco. La cosa più difficile non era lasciarlo fare ma non ridere per il solletico. Se avesse saputo a cosa era destinata realmente avrebbe rispedito indietro anche i soldi. Ma ormai era tardi. Era bastato lo sguardo del maggiordomo quando aveva detto che non era più tanto sicura per farle capire che non erano ammessi rifiuti. Non aveva detto nulla di preciso ma la sua paura, e forse un po’ di paranoia, le avevano fatto immaginare molto bene cosa avrebbe potuto capitarle. Il suo non era un lavoro cosi sicuro come alcuni libri molto fantasiosi volevano far credere. Guardandosi intorno vide altre ragazze come lei e si chiese in che modo fossero state trovate. Erano tutte squillo? Era la prima volta anche per loro o erano parte di queste assurde feste da molto tempo? Con le maschere indosso era difficile capire cosa davvero stessero pensando ma in mezzo a tutti quei corpi statuari vide una donna, anzi una ragazzina, che stava palesemente tremando. Stringeva i pugni con forza conficcandosi le unghie nei palmi e si sforzava di restare immobile mentre altre donne sicuramente più anziane e più esperte le sistemavano il corpetto della guepiere allacciandolo ben stretto per sollevare maggiormente i seni, si sforzava di restare calma ma era spaventata anche più di lei. Un angolo delle sue labbra si piegò in una smorfia, capiva fin troppo bene cosa stesse provando quella ragazza che oltretutto le sembrava anche più giovane di lei, troppo. Altri pensieri, altri sospetti, immagini troppo ripugnanti per potercisi soffermare. Un battito di mani richiamò la sua attenzione. Il maggiordomo stava dando a tutte le ragazze le ultime istruzioni con un tono da sergente istruttore misogino incrociato con uno stilista gay in crisi nervosa. Siete state scelte per la vostra bellezza, per le vostre abilità, siete delle privilegiate e se farete bene il vostro lavoro potrete guadagnare più di quanto abbiate mai immaginato, ma ricordatevi di non violare le regole della festa o ne pagherete le conseguenze. Il discorso era semplice e d’effetto, velate minacce addolcite da complimenti e promesse e comunque funzionò instillando in tutte loro in egual misura timore e un’ansia fremente di scoprire cosa sarebbe accaduto quella notte. Infine le porte vennero aperte e tutte una dopo l’altra ammesse nelle stanze principali della festa. All’inizio fu quasi rassicurante la totale indifferenza con cui vennero accolte dagli invitati. Probabilmente erano tutti più che abituati a scene simili e nemmeno se ne preoccupavano.

Lo Studio

In breve si trovò lontana dalle altre e da sola con indosso quei pochi indumenti atti più a mostrare che coprire in modo quasi osceno finì per camminare tra la gente senza una meta precisa. L’indifferenza divenne quasi deprimente. Si chiedeva se sarebbe stata pagata alla fine in caso nessuno avesse “goduto” della sua compagnia e dei suoi servigi, forse non sarebbe stata più ammessa in luoghi cosi esclusivi o forse peggio ancora. Eppure non era cosi male, no. Passando davanti a uno specchio probabilmente un pezzo originale settecentesco perse qualche attimo a osservarsi cercando di capire cosa gli invitati vedessero. Un bel seno florido, non da maggiorata certo ma nemmeno finto, tette sode in grado di star su anche senza il bustino con capezzoli svettanti turgidi per la vergogna e il freddo sottile della nudità. Il ventre compresso nel corpetto della guepiere era invisibile ma il sedere veniva messo in risalto dal vitino di vespa. Natiche tonde, invitanti, e un sesso rigorosamente depilato incorniciato tra i gancetti del reggicalze, una linea rosea con il clitoride fin troppo evidente anche quando non era eccitata. Non basto pensò, non vado bene? Perché? Un vociare più alto la distrasse da quell’auto esame. Era scomodo portare la maschera, non ci era abituata e aveva l’impressione che le tagliasse un po’ il campo visivo, per questo entrando nel salottino portò al viso le mani premendosela meglio indosso per guardare e sembrò quasi stesse trasalendo alla vista del capannello di persone radunate intorno all’ampio divano davanti a una parata di tondi sederi femminili. Qualche invitato sembrava aver organizzato un concorso di bellezza assai malizioso e due delle ragazze in maschera come lei erano sul divano in ginocchio sulla seduta e con la pancia premuta sullo schienale stavano riverse in avanti per meglio esporre il loro culo. Come loro altre tre dame che però erano tra gli invitati si erano messe in concorso sollevando le ampie gonne dei loro costumi d’epoca per mettersi anche loro in mostra. Risate divertite, gridolini di approvazione lanciate dalle altre dame, qualcuno si elesse a giudice andando da una donna all’altra palpando con aria professionale allargando le natiche di tutte per esporne anche i buchetti più segreti invocando il giudizio del pubblico anche su di essi. Erano troppo rosei? Un po’ troppo larghi forse? Altre risate maliziose. Magari un pelo sfuggito alla ceretta o magari tentando di spingervi dentro un dito la dama in questione urlava in modo troppo buffo. La festa era al tempo stesso goliardica e perversa come un girone infernale. No, era troppo. Svanì tra la gente prima che chiamassero anche lei la dentro a mettersi cosi in mostra per il divertimento altrui e trovata una rampa di scale qualsiasi la salì simulando più o meno consciamente l’urgenza di chi dovesse trovare un bagno. Ma non in un bagno si chiuse e solo quando si scostò dalla porta che aveva serrato di colpo se ne accorse guardandosi intorno. Sembrava uno studio e la presenza di un laptop aperto sulla scrivania le fece capire subito di essere finita in una stanza che non era stata approntata per la festa. Una svista dei camerieri forse. Il cuore lentamente si calmò e anche se sapeva di non dover essere li al tempo stesso non aveva alcuna intenzione di tornare la fuori in mezzo agli invitati. Forse…forse si sarebbe potuta nascondere un po’. Solo un po’. C’era una grande libreria, i testi erano antichi, non tutti ma molti erano addirittura in latino o cosi credeva dato che i titoli le sembravano incantesimi di Harry Potter. Lasciò perdere il laptop, non voleva peggiorare ancora di più la sua posizione ma i libri la interessavano. Ne leggeva tanti quando era più piccola, quando aveva tempo per farlo, per evadere senza piombare in strani surreali incubi come questo dove adesso era invischiata fin troppo realmente. Un piccolo divanetto le offrì appoggio per il culetto mentre scorreva i titoli finché una raccolta di Poe attrasse la sua attenzione. Prese il tomo e li in piedi davanti alla libreria senza nemmeno curarsi della propria nudità si limitò a sollevare la maschera sulla fronte per poter leggere isolandosi ben presto da tutto e tutti perfino dalla consapevolezza del luogo dove si trovava.

Colta alla sprovvista

D’improvviso la porta si aprì alle sue spalle facendola trasalire. Il libro le volò via dalle mani cadendo in terra con un tonfo preoccupante per un tomo cosi antico. Voltandosi cercò subito di nasconderlo dietro il vicino divanetto con un tacco mentre imbastiva uno splendido sorriso che sperava essere convincente dato che con ogni probabilità lei non avrebbe dovuto trovarsi in quella stanza ora. Ma quelli che la stavano guardando non erano spocchiosi camerieri in livrea ne oscuri ospiti nascosti dietro le loro maschere carnevalesche bensì due ragazzi indubbiamente molto più giovani della media degli invitati che le sembrarono subito pesci fuor d’acqua almeno quanto si sentiva lei. Sgranò i suoi grandi occhioni verdi quando si accorse che uno di loro teneva la maschera sollevata sulla fronte mostrando il viso in palese violazione delle regole. Ma le stranezze non si fermavano a quella. I loro costumi non sembravano eleganti come quelli che aveva visto entrando, avrebbe potuto comprarne uno più bello anche in uno store di giocattoli e poi il più alto dei due sembrava davvero troppo muscoloso per poter essere uno fra i tanti ricchi annoiati invitati della Villa. Eppure entrambi avevano una maschera e non erano certo dei camerieri ma si chiese come fosse possibile. I due sembravano stupiti almeno quanto lei. Divertiti anche nel notare il suo sgomento e il libro che le era volato di mano. Quello un po’ più basso con la pelle scura da mediorientale le si avvicinò chinandosi fin quasi a sfiorarle le cosce con il viso ma si limitò a prendere il libro che lei aveva tentato di nascondere cosi maldestramente. “Poe. Lettura interessante…ma non ti sembra un po’ fuori posto?”. L’altro, quello alto con la pelle bianca e grosso come un giocatore di rugby alzò gli occhi al cielo e scuotendo il capo si chiuse la porta alle spalle. “Idiota dovresti parlare settecentesco non te lo ricordi? L’invito? Quel bigliettino scritto bene che ti ho dovuto leggere io perché sei troppo ignorante?”. Lo scuro alzò il dito medio verso l’amico senza nemmeno voltarsi e tornò in piedi con un sorriso divertito stampato sulle labbra carnose. Un meticcio, pensò lei senza riuscire a spiccicare una singola parola presa alla sprovvista dalla strana situazione. Il braccio del ragazzo si allungò sopra la sua spalla e di nuovo si sfiorarono ma lui lasciò semplicemente il libro in mezzo agli altri dell’infinita collezione indietreggiando poi di qualche passo per squadrarla con palese apprezzamento. Loro non sembravano affatto ignorarla come gli altri invitati della festa. Anche quello più alto si avvicinò a lei e piegando la testa di lato si mise a fissarla stranamente però concentrandosi più sul viso come stesse dando la caccia ai suoi occhi nascosti in parte dalla maschera. Quello sguardo indagatore la mise in imbarazzo più dei commenti e degli sguardi dell’amico rivolti al suo corpo messo in offerta dall’osceno costume che indossava. “Perché non portate la maschera?”. Errore, stupido errore. “Perché non la indossate…signore?”, si corresse un attimo dopo chinando appena il capo. Si strinsero nelle spalle entrambi ma rispose il più alto che l’aveva spostata sopra la fronte al contrario del meticcio che ancora l’indossava anche se con palese insofferenza. “Non mi piace nascondermi e comunque non penso di conoscere nessuno qua dentro, con o senza la maschera per me non cambia molto”. Il meticcio la tolse in quel momento lanciandola via nella stanza. Più li guardava più si chiedeva come potessero essere stati invitati a quella festa apparentemente esclusiva ma soffocò la sua pericolosa curiosità tenendo per se le domande che avrebbe voluto fargli. Niente nomi, niente volti, cercava anche di fissarli il meno possibile in viso anche se i due non sembravano davvero preoccuparsene. Quando si sentì sfiorare di nuovo però sollevò di scatto lo sguardo trovandosi schiacciata tra la libreria e il corpo enorme del ragazzo bianco. Lui sollevò la mano e con inaspettata delicatezza le toccò il viso accarezzandolo sulla guancia fino a premere le dita sul bordo della maschera come volesse sollevarla. Si sentì stranamente ipnotizzata da quel gesto ma poi si rese conto del pericolo e subito afferrò il polso del ragazzo cercando di fermarlo. “Non mi è permesso signore…la prego…”, gli disse con voce sommessa, quasi strozzata per la tensione. Chiunque fossero i due ragazzi erano comunque tra gli invitati e forse erano liberi di violare le regole della Villa senza conseguenze ma questo non valeva anche per le serve come lei. Sembrò accettare le sue parole ma per un attimo una smorfia di disappunto piegò le labbra del ragazzo prima che si allontanasse andando a esplorare distrattamente la stanza. Il cuore di J ricominciò a battere normalmente e dopo qualche attimo di pausa, mentre il meticcio la fissava costantemente dal collo in giù, riuscì a prendere in mano l’iniziativa. “I signori vogliono bere qualcosa?”. Con la porta chiusa ed essendo probabilmente la stanza esclusa dalla festa era improbabile che i camerieri con le bevande potessero passare di la ma nello studio c’era una vetrina di liquori con calici e ghiaccio sistemati in un elegante mobile bar e lei vi si avvicinò per preparare qualcosa. Essere stata anche una barista aveva i suoi vantaggi. “Immagino che di birra non se ne parli qua vero?”, disse il più alto facendo cosi ghignare divertito il meticcio che si era già accomodato sul divanetto. “Temo di no signori”, venne anche a lei da sorridere. “Abbiamo solo liquori qua, gin, whisky irlandese, degli amari, bourbon…”. L’elenco era piuttosto lungo ed erano tutti superalcolici robusti. Lo scuro sollevò la mano facendo cenno di no ma il ragazzo muscoloso le si avvicinò tornando a fissarla in viso con insistenza. “Tu cosa suggerisci mascherina?”. Perché non le guardava tutto il resto come faceva il suo amico? Eppure era tutto li in offerta e le era bastata la consapevolezza della propria nudità in mezzo a quei due ragazzi per far inturgidire ancor di più i capezzoli in un misto di vergogna ed eccitazione che prima in mezzo alla folla indifferente non aveva provato. Ora invece era quasi indispettita dalla disattenzione del ragazzone bianco per le sue forme. Non gli rispose ma prese un bicchiere non troppo panciuto e più stretto in cima versandovi dentro un liquore ambrato scelto da una delle tante bottiglie di vetro finemente decorate della vetrina. “Ecco”, disse al ragazzo porgendogli il calice. “Cognac, e dal profumo direi anche di ottima qualità”, aggiunse con un sorriso lasciando il bicchiere nella mano del ragazzone per poi voltarsi ed andare verso il divanetto. I tacchi e la guepiere già accentuavano il suo naturale ancheggiare ma questa volta si studiò di marcarlo ancor di più, in modo non volgare ma vistoso. Tutti i suoi ragazzi e non solo loro avevano sempre decantato la bellezza del suo tondo sodo culetto ed era un’arma che aveva intenzione di usare anche stanotte. Per un attimo sorprese se stessa scoprendosi a desiderare di piacere, di essere desiderata da questi sconosciuti entrati per caso nella festa sbagliata e si chiese il perché.

Inizia la dolce tortura

Durò poco questa sua riflessione perché la calda mano del meticcio le strinse proprio una natica ora che era davanti al divanetto richiamandola alla realtà carnale di quell’incontro. “Siedi con me”, le disse fissandola dal basso con occhi bramosi. Le sue dita erano ruvide, da lavoratore, e forti. La mano era cosi grande da poter contenere quasi tutta la sua soda natica ma nonostante questo non la stava strizzando rudemente come molti uomini presi dalla smania avevano fatto. La palpava con una languida dolcezza gustandosi la morbidezza della pelle per poi aprirla lentamente esponendo alla vista dell’amico ancora lontano il suo piccolo buchetto. Ripeté questo gesto più volta e ad ogni movimento il dito ruvido si avvicinava sempre più alla rosellina tenera che esponeva all’aria fino a sfiorarla premendovisi contro. Avrebbe dovuto sedersi, era stata invitata a farlo, ma quello strano massaggio la inchiodava la dov’era e non sembrava che il meticcio volesse fermarsi. “Oh…sei arrossita…”. Sentirselo dire la fece arrossire ancora di più e non poteva farci nulla ma questo sembrò divertire molto lo scuro ed anche il suo muscoloso amico che lasciò da parte il cognac per avvicinarsi anche lui. “Incredibile” commentò per poi sedersi sul divanetto esattamente al lato opposto del suo amico lasciando per lei un piccolo spazio tra i loro corpi dove accomodarsi. Batté la mano proprio la invitandola come una bambina, o come un cane, ma la cosa non la offese per niente. Il meticcio lasciò la presa sulla natica ed allargò il braccio dandole spazio anche lui, sembravano perfettamente coordinati nelle loro scelte. Non sono la prima donna che prendono insieme, pensò presa da una strana curiosa ansia. Il divanetto in quel momento le sembrò costruito appositamente allo scopo. I due ragazzi erano più alti di lei, ben più grossi naturalmente, lo spazio rimasto tra loro era esiguo, giusto per il suo sederino e lasciava le cosce avvolte nelle calze bianche a stretto contatto con le gambe dei due uomini in qualunque posa decidesse di mettersi. Le spalle si toccavano e cosi le braccia e lei si scoprì a respirare più veloce al ritmo col battito crescente del cuore. Non sapeva dove guardare, chi dei due, ma non ebbe bisogno di decidere da sola. La mano del Bianco le sfiorò il mento costringendola a voltarsi e senza preavviso le labbra del ragazzo si premettero sulle sue. Non era un bacio vorace ne tentò di spingerle in bocca la lingua a forza e forse fu per questo motivo che lei stessa schiuse le labbra offrendosi, invocando un contatto più profondo nell’attimo in cui la ruvida mano del meticcio si strinse sul suo seno palpandolo con bramosia fino a stringerne tra le dita il capezzolo deliziosamente turgido e teso, sensibilissimo ad ogni tocco. Il bacio soffocò il suo primo gemito, un sommesso mugolare che sembrava un miagolio. La lingua del Bianco invase la sua bocca riempiendola con il sapore appena accennato del liquore. Sapeva anche di menta, mio dio, si erano lavati i denti come bravi bambini prima di uscire. Strani i pensieri che turbinano nella mente quando sale l’eccitazione. Il meticcio sembrava ora più impaziente. Le strinse il seno con più impeto di quanto prima non avesse fatto con la natica. Toccare quella carne morbida e liscia gli metteva fame e cercò di soddisfarla ben presto addentandole il capezzolo svettante. Tremò d’improvviso e spalancò le labbra mentre ancora il Bianco la baciava non riuscendo a contenere il gemito ora più forte. Lui si staccò per guardarla godendo della smorfia di doloroso piacere che le leggeva in viso. Di nuovo quella strana carezza come volesse toglierle la maschera. Si fermò da solo però e fece scendere le dita sul mento, sul collo, andando a sfiorare l’altro seno lasciato crudelmente intonso dall’amico che insisteva a concentrarsi sullo stesso capezzolo succhiando ora come un neonato affamato. Si sentiva annegare tra i corpi dei due uomini. L’odore intenso e quasi speziato della pelle del meticcio diveniva sempre più forte man mano che l’eccitazione di lui saliva e cosi il calore bruciante della sua bocca carnosa attaccata al seno. Il Bianco sembrava bearsi, nutrirsi della vista del suo viso arrossato, gemente, mentre le dava piacere torturandole anche l’altro seno. Si rendeva conto di questo e per un attimo pensò perfino di regalargli una visione ancor più peccaminosa scorrendo la linguetta sul labbro e fissandolo apertamente con gli occhioni verdi lucidi ed ebbri di lussuria. Ma lui sembrò accorgersi di quella forzatura ed aggrottando la fronte con disappunto strinse d’improvviso le dita sul capezzolo torcendolo e tirandolo strappandole cosi un urletto strozzato che nulla aveva a che fare col piacere. “Aaannn..gh..”. Il visetto arrossato ed eccitato si contorse in una smorfia di dolore ma non provò nemmeno a pensare di lamentarsi o respingerlo, era fin troppo cosciente che cose come quella erano il minimo che potessero farle in quella Villa e poi, in fondo, si era resa conto di esser stata sciocca in quella sua recita. Non era mai stata brava ad atteggiarsi e forse quello era stato il suo più grande pregio. I clienti troppo concentrati sul buco dove infilare al più presto il loro uccello non badavano ai suoi finti orgasmi da pessimo film porno ma quelli più cerebrali riuscivano a cogliere la naturalezza delle sue reazioni, la verità della carne nei limpidi occhi verdi incapaci di mentire. La sua smorfia sembrò soddisfare il Bianco che smise di tirare cosi forte il capezzolo e lo lasciò andare aprendo la mano a coppa per contenere la rotondità del seno togliendolo completamente fuori dal balconcino del corpetto. Gemiti sempre più forti riempirono la stanza. Avevano due modi completamente diversi di toccarla. Sentiva l’umido calore della saliva del meticcio bagnarle la pelle del seno. La mano ruvida tirò giù il corpetto che l’altro aveva solo sfiorato sollevandole invece il seno. Le sembrava di essere contesa tra due belve affamate di parti diverse del suo corpo, la strattonavano senza sovrapporsi. Non sono la prima, si ripeté ancora ma di nuovo il pensiero scivolò via con le carezze. Una mano curiosa era scesa ancora più in basso, tra le cosce che lentamente e inconsapevolmente aveva dischiuso. Il Bianco forse, le era sempre più difficile capire. Si sentì afferrare la coscia con forza. La mano scorse lentamente sulla pelle fino all’incavo del ginocchio per poi sollevarle la gamba sistemandola sopra quelle muscolose dell’uomo. Si stavano sempre più voltando entrambi verso di lei sommergendola e coprendola con i loro corpi e mani e bocche voraci. Il meticcio non si staccava dal suo seno ma approfittò comunque della generosa offerta fattagli dall’amico e infilò per primo la mano tra le gambe ora spalancate. Non si preoccupò dei gancetti della guepiere, non aveva alcun interesse a spogliarla del tutto e subito si concentrò sul suo sesso esposto. Quella mano la trovò calda, lei si sentiva bollente, umida in modo vergognoso, raramente si era cosi eccitata con dei clienti, ora non riusciva a ricordare nemmeno un episodio in cui fosse successo cosi facilmente senza dover ricorrere a droghe o ancor meglio alle proprie fantasie erotiche estranianti. Era imprigionata nella carne adesso, non poteva e forse non voleva nemmeno liberarsi andando lontano con la mente come faceva per tenersi al sicuro dal disgusto solitamente. Quei due ragazzi glielo impedivano toccandola in cerca del suo piacere prima ancora che del loro…

Continua…

Racconto di Dalia cod 226. Cercala per commentare con lei questo racconto ma non farti svelare la seconda parte!